Tutti uguali?

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Chase Jarvis pubblica un’interessante comparazione delle fotografie scattate da lui stesso con quelle di altri fotografi, anche di grido, che hanno vinto l’ultima edizione del PDN photo annual:

“In less than 5 minutes last night, for no apparent reason, I was able to find about 20 of my images that look, feel, appear, strangely similar to nearly 20 images in the 2008 PDN Photo Annual.”

E si domanda come mai la maggior parte dei lavori sono così simili anche se tutti cercano di fare qualcosa di differente. Conclude dicendo che siamo tutti uomini, che esiste una “social fabric” in ognuno che ci rende molto simili. Questo tema parte da un altro post divertente e di “sollievo” su quello che gli (ci) capita quando arriva una nuova idea di un progetto fotografico. Qualcun altro l’ha già fatto (meglio) prima.

Chase è un giovane fotografo di successo (a 35 anni è Nikon e Hasselblad Master) che combina la fotografia commerciale ad alcuni lavori interessanti (zona “Projects” del suo sito).

Già. Esiste una certa somiglianza e certi soggetti ricorrenti. Nel mio piccolo alcune delle mie fotografie fatte dentro grandi città somigliano agli scatti di Chase.

Massimo Cristaldi - YellowGreen
Massimo Cristaldi

Chase Jarvis - From project
Chase Jarvis

Devo dire che il tema della “social fabric” è, a mio avviso, parecchio intrigante. Per quanto contaminata da esigenze di comunicazione pubblicitaria certa fotografia si somiglia troppo: c’è un grosso appiattimento non solo nei soggetti ma anche nel “mood” dello scatto. Forse anche collegato all’utilizzo di strumenti che uniformano (photoshop in primis) e di tecniche “collaudate” da fotografi di successo. Sotto questo ultimo aspetto, ad esempio, si fa fatica a distinguere gli scatti di Chase da quelli di Jim Fiscus.

Credo, dunque, come sostiene da sempre il mio amico Edward Rozzo, che sia il soggetto a fare veramente la differenza. Senza andare in posti lontanissimi (e pericolosi) credo che alcune realtà, soprattutto rurali, a casa nostra abbiamo ancora un qualcosa di “diverso” da come il resto del mondo si sta evolvendo. Raccontare questa diversità risulta può risultare, forse, un carattere distintivo.

Rimane da domandarsi se il mondo in generale ha veramente bisogno di queste (nostre) immagini, o se le foto “tutte simili” non siano, in fondo, quello che il pubblico desidera. Bisogna comprendere se si fotografa per qualcuno o per se stessi. Rimando ancora una volta alla lettura di Art & Ego. E a qualunque commento vogliate inserire.null

Art & Ego

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Ho letto con molto interesse, in questi giorni, l’ottimo libro di Marcus Reichert e Edward Rozzo: Art & Ego. Marcus è pittore ma anche fotografo. Ha lavorato nel cinema e pubblicato alcuni libri anche di poesia. Un Artista a tutto campo, di sicuro interesse.
Edward è fotografo e professore di cultura visiva in varie importanti università europee. Alterna l’attività professionale, quella artistica e l’insegnamento.

Il libro è un dialogo schietto e senza sbavature tra due persone molto diverse tra loro. Americani entrambi, e amici a tal punto da potersi reciprocamente dire tutto, le due personalità emergono fortissime nei “botta e risposta” che i due si scambiano.

Il loro vissuto e le loro esperienze li rendono protagonisti del libro anche se il loro duettare mette in primo piano i veri protagonisti “immateriali”: l’Arte (sia essa pittura, fotografia, poesia) e l’universo interiore dell’artista stesso. Il tutto passa attraverso le esperienze degli autori: Marcus è viscerale e mal sopporta il confronto con un pubblico vasto. Per lui l’aspetto interiore dell’atto artistico è fondamentale. Edward costruisce un “ponte virtuale” tra l’artista e lo spettatore. Nel momento in cui l’atto creativo è esposto diventa fondamentale “ingraziarsi” chi guarda. Ecco allora che la scelta del soggetto diventa fondamentale e l’aspetto meramente “descrittivo” e, a volte, estetico, fa un passo indietro.

MR: When you speak about style in a photograph, are you referring to our aesthetic response to the photographs as an object or to the self-consciousness of the mind at work behind the photograph?[…]
ER: When I speak about style, I’m referring simply to both the technical decisions as well as the aesthetic ones, […]. Another thing is the question you mention of the photographer wanting to somehow ingratiate himself to the viewer […]. In this way the photographer is trying to ingratiate himself, but even then sometimes his personal choices are stronger than his will.

L’argomento di partenza è di grande interesse e si presta a tante declinazioni. La cultura visiva del nostro tempo, la simbologia dell’immagine, il mercato dell’arte, la “casta” dell’arte.

La grande capacità ed esperienza dei due autori fa intervallare le reciproche posizioni all’analisi, attenta ma fresca e senza peli sulla lingua, del lavoro di diversi artisti: Basquiat, Lorca diCorcia, solo per citarne alcuni. Ogni elemento o immagine diventa funzionale all’approfondimento dei temi sottintesi e consente al lettore di spaziare con la mente rielaborando le tematiche iniziali.
Senza alcuna pretesa “indottrinante”, Art & Ego è un piccolo libro “splendido” che raccomando a chiunque si senta, nel proprio percorso personale, toccato in qualche modo da queste tematiche.

A volte, la Rete…

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A volte la Rete ti regala delle persone che, anche se non hai conosciuto di persona, finiscono per esserti “vicine”, per essere attenti osservatori delle cose che fai. I logs di accesso al sito lo fanno sospettare certe volte: tante visite dallo stesso IP, tanti “ritorni”. Questi ritorni sono però, nella maggior parte dei casi, “silenziosi”. Non è questo il caso di Claudio. I suoi commenti, alla mie singole foto prima ai miei progetti dopo, sono divenuti quasi “rituali”.
Dall’attenta disanima degli statement dei vari progetti, all’analisi di dettaglio dei contenuti e delle emozioni da lui percepite in ogni singolo scatto, Claudio unisce una grande capacità di lettura fotografica ad una splendida penna (o dovrei dire, forse, “tastiera”?).
In alcuni casi, come per il suo lungo commento a “Falconara” (pubblicato anche sul suo Blog) mi fa riscoprire le emozioni che mi hanno accompagnato nel momento “creativo” legato al progetto stesso, in cui effettivamente mi sono ritrovato un po’ “Pais Paizon” di Nietzschiana memoria a giocare con l’immagini. Grazie di nuovo, Claudio.
Altri commenti di Claudio su:

  • Sunday
  • The Station
  • The Other America
  • L’arte in JPG

    Massimo Cristaldi Pensieri Lascia un Commento

    Ho letto con interesse, in questi giorni, questo articolo pubblicato dal New York Times. In sintesi negli Stati Uniti le gallerie si ritrovano a vendere fotografie o altre opere sulla sola “base” di quanto i loro clienti hanno pre-visualizzato in forma digitale. Come se il rapporto con l’opera stessa, fondamentale, a mio avviso, per una corretta fruizione del messaggio, possa essere soppiantato del tutto dal surrogato elettronico. L’articolo riporta di come gli ultimi lavori di Tom Friedman esposti alla Gagosian Gallery siano stati venduti prima dell’apertura della mostra stessa per un valore complessivo di 500.000$.
    Certamente il nome di grido aiuta il fenomeno: molti collezionisti comprano sulla base dei suggerimenti di importanti gallerie, come sempre l’essere rappresentati ad alto livello corrisponde a raggiungere un base di clienti fiduciali della galleria. Fa però riflettere, in genere, la linea di demarcazione tra gli artisti maggiori/grandi gallerie/grossi collezionisti con tutto il resto: un po’ ad affermare come, se si ha la fortuna di essere inseriti nel posto giusto ci si possa permettere, con la semplice vetrina virtuale, di vendere i propri lavori in una dinamica diversa dal “normale” rapporto tra il fruitore e l’arte stessa, con un intermediario elettronico che mi ha sempre, con particolare riferimento alla Fotografia, lasciato estremamente perplesso.