Suspended on “Paesaggio Critico”

Paesaggio Critico, “Critical landscape”, is an Italian online magazine dedicated to Landscape. Not only photography, but also interesting articles about the relationship between Nature and men-altered landscapes.
Francesco Tonini wrote an interesting piece on my “Suspended”. Live online here and reported hereafter.
“La terra, per trasposizione simbolica ed architettonica, è tempio degli uomini. Essa è sacra per fertilità, splendore di cose, vivente divinità.”
Raffaele Milani, L’arte del Paesaggio 2001, Bologna, IL MULINO

Introduco il lavoro che il fotografo Massimo Cristaldi ci ha gentilmente inviato per la pubblicazione del filtro 15 della rubrica Paesaggi Filtrati, con un discorso che vuole essere risposta alle critiche non fondate, a mio avviso, sulla fotografia di paesaggio in Italia.

Rovine.
Non sono d’accordo con chi pensa che la fotografia di paesaggio, specialmente quella che ritrae la forza geometrizzante dell’uomo, quella che ha disegnato le città “moderne” sotto la spinta ossessiva di igiene e di ordine, sia solo il risultato di un movimento intellettuale fine a se stesso in cui si rifugiano i fotografi italiani.
C’è addirittura chi dice che sarebbe bene strutturare uno stile fotografico italiano partendo dai punti forti del “made in Italy”, quelli che ci contraddistinguono come italiani nel mondo intero: cibo, automobili sportive, design, alta moda. Gli italiani sono molto complessi, articolati e diversi tra loro per essere ridotti a dei marchi di riconoscibilità, che si sono stati utili a farci sopravvivere nel mercato globale, ma che sono anche estremamente riduttivi del panorama enorme della nostra cultura. Che dovremmo fare, fotografare i piatti dei nostri più famosi chef in attesa che i nostri paesaggi peculiari, quelli che danno vita alla varietà culturale e culinaria del nostro paese scompaiano per lasciare posto ad una indistinta distesa di villette a schiera interrotte da ecomostri? E fare ciò solo perché il mercato delle fotografie offre opportunità di lavoro in questo senso? Guardiamo a lungo termine. Una volta che i cinesi riprodurranno anche i nostri paesaggi peculiari mediterranei da qualche parte nella loro sconfinata nazione, cosa ci distinguerà da loro?
L’autenticità, ecco cosa ci distinguerà. E se perdiamo il nostro paesaggio, perderemo anche la nostra autenticità a vantaggio di nuove urbanizzazioni simil provincia americana, dove non sin produrranno più formaggi tipici, dove non ci saranno più cipressi a proteggere vitigni pregiati e dove non vi saranno più feste e sagre di paese perché non esisteranno più piazze in cui incontrarsi. Allora non credo proprio che fotografare il paesaggio italiano, specialmente quello a rischio o già inficiato dalle macchie del profitto e della speculazione, sia da definirsi una operazione intellettuale per pochi rifugiati in una cultura arretrata ed obsoleta. Fotografare il paesaggio italiano è una operazione consapevole, partigiana, intellettuale, perché presuppone la conoscenza della nostra cultura. Non mi aspetto che qualche turista ignaro e sprovveduto che cerca gli spaghetti alla bolognese, concepisca per forza questo lavoro di protezione e valorizzazione della nostra cultura, della nostra tradizione, dell’Italia.
La cultura ha valore solo per chi ha cultura sufficiente per comprenderla. Per riconoscere una cultura è necessario esserne permeati, esservi nati o vissuti all’interno od avere una cultura elevata ed aperta, diciamo superiore a quella che ci si trova davanti. Se quello che si conosce della cultura italiana è pizza e mandolino, sarà impossibile comprendere il suo territorio, la sua terra. Qualcosa di simile a chi vive in città e che ha volutamente ignorato la cultura contadina per decenni trascurando allo stesso tempo di accrescersi culturalmente. Non mi stupisco quindi che lo stile fotografico italiano percepito all’esterno della nostra cultura non possa coincidere con lo stile fotografico, a ragione introverso, percepito dagli italiani. La fotografia degli italiani Basilico, Giacomini, Ghirri, Chiaramonte, Guidi, nonostante sia riconosciuta come alto esempi di fotografia dalla critica e dal mondo fotografico, non è mai divenuta un messaggio diffuso della nostra cultura né in Italia, a causa di una certa non curanza su argomenti di fotografia e paesaggio, né all’estero. Nella fotografia più bella del paesaggio italiano, definita da una sensibilità non comune del fotografo che non mira alla sensazionalità del messaggio fotografico, la cultura immessa è di natura molto specifica per essere compresa da un vasto pubblico. Non è un caso che la street photography od i reportage di guerra godano spesso di un vasto pubblico, perché contengono messaggi appartenenti ad una cultura di tutti i giorni o sono intrise di contenuti cruenti inequivocabili.
Sono il primo a dichiarare la mia ignoranza e pertanto sarò anche lacunoso in sensibilità di paesaggio e fotografia, ma sono molto infastidito da chi non comprende lo sforzo dei fotografi italiani. Una buona parte della difesa della nostra cultura minacciata dall’onda d’urto della globalizzazione e della uniformazione degli usi e costumi che porta, è messa nelle mani dei fotografi.
Non mi sembra che negli stati uniti non vi siano fotografi di paesaggio. Ne potrei indicare al volo una dozzina che hanno sviscerato il bello ed il brutto del paesaggio made in USA, al fine di difenderlo e di farlo comprendere da chi è meno sensibile al problema contemporaneo del paesaggio. Se lo fanno i fotografi statunitensi, perché non dovremmo farlo anche noi che abbiamo molto di più da perdere? Abbiamo forse definito copioni quelli di Hollywood perché sono venuti a studiare l’industria italiana del cinema degli anni 60 per poi andare per la loro strada?
Massimo Cristaldi è un fotografo sensibile, che non si rifugia nell’intellettualismo. Una di quelle persone che lavora per anni su di uno stesso progetto perché crede in quello che fa e perché ama la sua terra, la Sicilia, che lui ritrae in un momento critico della sua esistenza. I soggetti su cui Massimo si concentra sono, come suggerisce il titolo del lavoro, “sospesi” nel tempo. E Massimo li ritrae come se fosse un turista del tempo, che porta a casa i propri scatti delle vacanze con quel senso di nostalgia che li pervade. Una nostalgia che sembra legata all’emozione del momento in cui la foto è stata presa, tristezza dovuta alla vista di uno spettacolo che non trova collocamento nel tempo, come una rovina nel paesaggio. Qualcosa in grado di colpire nel segno, di suscitare emozioni e quindi di scuotere le coscienze di tutti coloro che non vogliono vedere che il paesaggio italiano si trova sospeso in un limbo tra paradiso ed inferno. Sta a noi invertire la tendenza di discesa negli inferi, per tornare nel paradiso, colmo di giardini.

Francesco Tonini

 

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *