What the Duck fa riflettere

Da qualche tempo ormai, tra i miei feed RSS di fotografia, ho aggiunto le strisce giornaliere di What the Duck. What the Duck è un simpaticissimo sito, messo assieme da Aaron Johnson, che racconta le avventure di alcuni paperi fotografi. Una strip al giorno, con ironia anglosassone, per dipingere il variegato mondo della Fotografia.
L’ultima strip in ordine cronologico fa davvero riflettere.

Nella generale frenesia digitale e di immagini virtuali, in cui il 90% degli utenti NON stampa le sue fotografie ma si accontenta di un surrogato elettronico lontanissimo dalle emozioni della foto (come oggetto tangibile, per citare Susan Sontag), chissa quante persone finiranno per ritrovarsi nelle condizione del Papero verde. Dove finiscono le nostre emozioni? Dentro una scatola elettronica? Cosa dice di più un’immagine vera, tangibile, che, peraltro, con la durata dei nuovi inchiostri durerà molto di più di qualunque supporto digitale (basti pensare che fine hanno fatto, negli ultimi anni i floppy disk magnetici….)

Per abitudine stampo sempre gli scatti che meritano in multi copia. Di ogni serie ho una versione della dimensione “ufficiale”, riportata in Portfolio, e alcuni album (molto belli peraltro, come quello ritratto di seguito).


Me ne infischio, così, se un giorno tutto il mio sistema di backup multiplo RAID5 mi lascerà a piedi. O se certi supporti diventeranno illegibili. Le mie emozioni, per me, saranno sempre lì ad aspettarmi. La grande rivoluzione fotografica degli ultimi anni non sono le macchine digitali: sono le nuove stampanti in grado di mantenere inalterati i ricordi.

Francesco Zizola: il Workshop

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Francesco Zizola - Photo by Massimo Cristaldi

Francesco Zizola – Foto di Massimo Cristaldi

Ho avuto il piacere di partecipare, alcune settimane fa, al workshop di tre giorni di Francesco Zizola organizzato da MiCamera. Avevo visto alcune interviste a Zizola su Youtube, oltre, naturalmente, ai suoi splendidi lavori realizzati in giro per il mondo. Avevo anche letto di lui nel bellissimo libro di Giovanni Porzio, Cronache dalle terre di nessuno.

Di Zizola mi aveva colpito l’approccio all’immagine, per nulla truculento come purtroppo accade spesso a certi fotogiornalisti impegnati in zone calde del pianeta. Avevo avuto l’impressione che Francesco fosse un fotografo partecipe all’azione: a tutti gli effetti un Uomo, non un avvoltoio alla ricerca dell’immagine d’effetto a tutti i costi.

Ho quindi deciso di andare a Milano a “conoscerlo” di persona, sicuro che, oltre all’arricchimento tecnico avrei probabilmente intuito di più su come si comporta un fotografo in una zona difficile, cosa prova, cosa pensa, a quali emozioni è soggetto, quale rapporto ha con casa sua e con quanti, a casa, lo aspettano.

Ero un po’ riluttante all’idea di un workshop di fotografia ma l’attrattiva nei confronti delle foto di Zizola era troppo grande e meritava un aereo per Milano.

Le mie aspettative non sono andate deluse. Già dal primo giorno Francesco, che è una persona molto carismatica, ci ha accolti su un tema che (per certi versi) Fabiano Busdraghi ha trattato a lungo nel suo blog: la fotografia è una rappresentazione della realtà? Non mi dilungo sul tema specifico che ha visto una lunga discussione: certo che intorno a “come” rappresentare la realtà, dal punto di vista del fotogiornalista, si è orientata buona parte delle chiacchierate dei giorni a venire.

Chiacchierate, infatti. A parte qualche approfondimento “tecnico” sull’utilizzo dell’Iperfocale (che Francesco adopera moltissimo) tutto il workshop è stato un piacevole colloquio, parecchio interlocutorio, senza alcuna pretesa nozionistica né imposizioni da depositario della “verità”.

Dalla lettura delle sue fotografie nei primi giorni con la possibilità di “bersagliarlo” di domande (come hai fatto, dov’eri) alla lettura delle nostre fotografie (eravamo un simpatico gruppo di una quindicina di persone) i temi erano incentrati all’etica nella fotografia, all’invisibilità del fotografo (e quindi alla grande capacità di catturare il momento facendo parte della scena), al rapporto con i soggetti.

“Armato” con un’ottica fissa (un 24 mm 2.8), una Canon 5D o 1Ds, Francesco è dentro la scena. Chi guarda le sue foto è accanto a lui. Ed è un fautore del digitale, per le possibilità di correzioni in post processing e per l’immediatezza che offre a chi fa il suo mestiere sul campo.

E’ stato molto interessante ascoltare la sua storia, il suo inizio come fotografo, la sua passione travolgente per il suo mestiere, il suo volerlo fare a tutti i costi e il suo NON piegarsi alle logiche della fotografia commerciale.

Io sono un grande fautore della Passione con la P maiuscola. Credo che sia il motore di tutto quello che facciamo BENE.

Ascoltare i suoi aneddoti sui successi, sul suo rapporto con i photo editor, i suoi giudizi sul mondo della carta stampata italiana e dell’analfabetismo dell’immagine che contraddistingue il nostro paese è stato ulteriormente interessante. Ed del suo rapporto difficile con alcune importanti agenzie di fotogiornalismo, che l’hanno portato a fondare NOOR. Francesco Zizola è un indipendente, uno che non ha paura di fotografare (e di comunicare) attraverso l’immagine. Non è uno che si piega alle logiche dei servizi “dalla parte dei buoni”, è una persona che ha rischiato e rischia parecchio andando in giro spesso non “embedded”, ma in autonomia. E forse per questo le sue foto danno l’esatta percezione di quanto accade in parti del mondo a noi lontane.

Nel suo rapporto intenso con i suoi soggetti viene fuori una travolgente umanità. Quella che gli fa sostenere di essere più scioccato quando torna nel nostro paese che quando si trova in zone del mondo contraddistinte dalla povertà, dalla miseria e dalla guerra.

Mi ha poi colpito il suo approccio ai progetti di lunga durata. Born Somewhere lo ha visto collezionare fotografie sulla condizione dell’infanzia in tutto il mondo (incluso i paesi industrializzati) per tredici anni. E mantenere, nel tempo, una grande uniformità di visione e di stile, nonché tecnica, di indipendenza completa dal “mezzo” utilizzato. Naturalmente non ho resistito a comprare il libro (e a farmelo dedicare).

Ho imparato sicuramente qualcosa da questo workshop. Ho iniziato a pormi delle domande sul rapporto con i soggetti, ad esercitare quella che Francesco chiama la “vista periferica”, ad iniziare a “mimetizzarmi”. Non sono un fotogiornalista di professione ma ho un grande interesse per il reportage sociale. Non potevo quindi non mostrare a Francesco Zizola il mio “A Men’s world“: ho avuto, come gli altri partecipanti al workshop, l’onore di avere un’attenta review dei miei scatti.

Dopo qualche giorno dalla fine del workshop Francesco ha tenuto una lezione di giornalismo per Internazionale. I link alle lezioni sono disponibili qui e qui. Alcuni dei temi del workshop sono stati affrontati durante le lezioni online e quindi consiglio a chi sta leggendo questo breve post di ascoltarle.

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Photo Essays

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L’idea di un progetto fotografico e quello che “costa” realizzarlo. Le (poche) parole per descriverlo. Un bella intervista a Mona Reeder che ha vinto il R. F. Kennedy Journalism Award per il progetto “The Bottom Line“. Lo stesso progetto è stato anche un finalista per il Pulitzer. Da leggere.

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Cogito, Ergo Sum

C’è un simpatico video che gira da un po’ in rete. L’autore si chiama Charles Leadbeater ed è un ricercatore della Demos di Londra. Nel riproporre in chiave moderna (e “sociale”= il motto Cartesiano, Charles sembra dare un ruolo positivo ai blog e alla “cross-fertilization” delle discussioni in rete come originatrici di idee.

In effetti, forse tutto questo fiorire di blog e di fotografie ha un peso anche per i fotografi… Magari, sullo spunto di Charles, ne parliamo di seguito….

We Think

Sempre in tema di Cina

[lang_it] Questa volta per le bellezze di questo paese. Alessandra Meniconzi sta per pubblicare un libro (autunno 2008), Hidden China, che contiene delle bellissime fotografie che si possono vedere online sul suo sito.
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Tineye

[lang_it] Tineye.com è un nuovo motore di ricerca, ancora in beta, indirizzato alla ricerca di immagini. Dovrebbe essere utile per comprendere se una propria immagine è utilizzata, magari senza autorizzazioni, da qualche sito web senza scrupoli.
Esiste un plugin per Firefox che consente, con un click destro del mouse su un’immagine, di cercarla online. Un po’ quello che fa Google per le parole.
Abbastanza interessante la possibilità di trovare alterazioni alle immagini, ad esempio crops, rotazioni, testi rimossi o aggiunti, o immagini utilizzate in collage…
Ho fatto qualche prova registrandomi ma senza reali risultati:

0 results

searched over 487 million images in 1.162 seconds

Wondering why TinEye couldn’t find your image?

  • Our
    search index is still very small—just a fraction of all the images on
    the web! But our index is always growing, so be sure to search for this
    image again later.
  • TinEye looks for the specific
    image you uploaded, not the content of the image. TinEye cannot
    identify people or objects in an image.

Da tener d’occhio….
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Tutti uguali?

Chase Jarvis pubblica un’interessante comparazione delle fotografie scattate da lui stesso con quelle di altri fotografi, anche di grido, che hanno vinto l’ultima edizione del PDN photo annual:

“In less than 5 minutes last night, for no apparent reason, I was able to find about 20 of my images that look, feel, appear, strangely similar to nearly 20 images in the 2008 PDN Photo Annual.”

E si domanda come mai la maggior parte dei lavori sono così simili anche se tutti cercano di fare qualcosa di differente. Conclude dicendo che siamo tutti uomini, che esiste una “social fabric” in ognuno che ci rende molto simili. Questo tema parte da un altro post divertente e di “sollievo” su quello che gli (ci) capita quando arriva una nuova idea di un progetto fotografico. Qualcun altro l’ha già fatto (meglio) prima.

Chase è un giovane fotografo di successo (a 35 anni è Nikon e Hasselblad Master) che combina la fotografia commerciale ad alcuni lavori interessanti (zona “Projects” del suo sito).

Già. Esiste una certa somiglianza e certi soggetti ricorrenti. Nel mio piccolo alcune delle mie fotografie fatte dentro grandi città somigliano agli scatti di Chase.

Massimo Cristaldi - YellowGreen
Massimo Cristaldi

Chase Jarvis - From project
Chase Jarvis

Devo dire che il tema della “social fabric” è, a mio avviso, parecchio intrigante. Per quanto contaminata da esigenze di comunicazione pubblicitaria certa fotografia si somiglia troppo: c’è un grosso appiattimento non solo nei soggetti ma anche nel “mood” dello scatto. Forse anche collegato all’utilizzo di strumenti che uniformano (photoshop in primis) e di tecniche “collaudate” da fotografi di successo. Sotto questo ultimo aspetto, ad esempio, si fa fatica a distinguere gli scatti di Chase da quelli di Jim Fiscus.

Credo, dunque, come sostiene da sempre il mio amico Edward Rozzo, che sia il soggetto a fare veramente la differenza. Senza andare in posti lontanissimi (e pericolosi) credo che alcune realtà, soprattutto rurali, a casa nostra abbiamo ancora un qualcosa di “diverso” da come il resto del mondo si sta evolvendo. Raccontare questa diversità risulta può risultare, forse, un carattere distintivo.

Rimane da domandarsi se il mondo in generale ha veramente bisogno di queste (nostre) immagini, o se le foto “tutte simili” non siano, in fondo, quello che il pubblico desidera. Bisogna comprendere se si fotografa per qualcuno o per se stessi. Rimando ancora una volta alla lettura di Art & Ego. E a qualunque commento vogliate inserire.null

Reportage dal terremoto

[lang_it] Forse il mio background da geofisico mi porta ancora a scrivere sul terremoto cinese. Tra le altre voci, sul blog della Reuters è apparso oggi un reportage davvero toccante, soprattutto perchè effettuato da un fotografo che è nato nelle zone colpite: Jason Lee. Merita assolutamente una visione.
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Un matrimonio a Sichuan

[lang_it] Ho trovato in rete alcune immagini scattate durante il terremoto a Sichuan da un fotografo cinese. E’ davvero incredibile come la scena cambi così rapidamente e come il fotografo continui a mantenere il sangue freddo e a fotografare.

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Epson Focal Points

[lang_it] Anche se a sfondo commerciale, Epson Focal Points è uno showcase ben fatto di mostre e lavori realizzati con le stampanti Epson, dalla mia “piccola” 3800 alla enorme 11880. Intressante anche le stampe realizzate con la nuova Epson Exhibition Fiber Paper, che includono, tra gli altri, un lavoro del nostro Francesco Zizola.
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