Oculus Asini (2008)

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Oculus Asini (Donkey’s Eye)

Donkeys. Ignorants? Clumsy. Not well done horses? Biblical.
Accommodating. Irremovable. Enduring? Intimate. With a look that wraps,
between open fields and trenches, our being free, and, in the
same time, prisoners.

24×17 inches / 60×40 cm
Limited edition of 50
Archival Pigment Prints

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Oculus Asini (L’Occhio Dell’Asino)

Asini. Ignoranti? Maldestri. Cavalli mal riusciti?  Biblici.
Accondiscendenti. Inamovibili. Pazienti? Intimi. Con uno sguardo che
avvolge, tra campi aperti e trincee, il nostro essere liberi, e allo
stesso tempo, prigionieri.

Come è nato questo progetto

Con questo progetto, viste alcune richieste giunte per email su progetti precedenti, ho deciso di iniziare a raccontare anche la “genesi” dei progetti che pubblico.

Avevo fotografato gli asini in un paio di occasione. Un po’ per caso, un po’ per curiosità. Non ero sicuro di capire cosa mi spingeva a fare quelle foto. Mi ronzava dentro il “Bove” di Carducci. Una di quelle poesie che, alla scuola media, mi avevano fatto imparare a memoria. Di recente ho voluto visitare un allevamento. E gli occhi degli asini mi hanno colpito. Mi sentivo scrutato, guardato, soppesato. Ognuno con il suo carattere, con il suo lento venirti incontro o con la sua voglia di sottrarsi. Ed è scattato il transfer, ho incontrato il mio soggetto. In qualche modo racconto una storia ancora una volta. Forse la mia tentazione narrativa è preponderante. La discretizzazione del tempo operata dalla fotografia finisce per venirmi congeniale. In The Other America ho cercato immagini, ma in qualche modo la storia che raccontavo era solo mia, personale, era la storia del mio viaggio in quel mondo. Qui provo a narrare, provo nella sequenza degli scatti ad esprimere un concetto. Un po’ come in “lifestage” o in “Altar“, ma secondo me, in modo più chiaro. In qualche modo è uno “short movie” armato della potenza delle fotografia. Ed è una mia creazione, una mia trasposizione di un concetto in immagini. Non so, è terribilmente intrigante questa cosa. Certo, forse non è immediatamente intelligibile. Superficialmente si afferma “beh, ma sono Asini”. E quindi siamo colpiti da quanto vediamo, perché “asino” è una forma “universale”. Appena guardiamo un asino l’idea universale dell’asino prende talmente il sopravvento da far risultare difficile andare un pelino oltre l’immagine. E quindi ci perdiamo la “singolarità” dell’immagine stessa. Ci perdiamo “quell’asino” in particolare. Ci fermiamo alla patina. Forse dietro c’è di più. E in fondo non mi sorprende, guardandole, che siano meno belle, meno eteree, meno ricercate, di altre fotografie che ho fatto in passato. Troppo spesso il bello fa di tutto per nascondere il senso.

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24×17 inches / 60×40 cm
Limited edition of 50
Archival Pigment Prints

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Comments 4

  1. Una volta si diceva: “Ha la bellezza dell’asino”. Poteva sembrare un offesa, una qualità negativa, invece era quanto di meglio si potesse sentire come descrizione della persona a cui questa affermazione era rivolta.
    La bellezza innocente, intima, gentile, sensibile, quasi ingenua, primordiale e sincera di questo meraviglioso animale.
    Hai fatto bene, Massimo, a soffermarti su uno degli aspetti, lo sguardo, che conferisce all’asino la profondità d’animo e di intelligenza e di forza che forse lo stereotipo che ha non rispetta, ma che la storia (agreste, quotidiana e – ahimé – bellica) dei nostri avi ha poi confermato.

    Andrea

  2. Nell’ambito della teoria della probabilità esiste un teorema, il teorema del limite centrale, che dice sostanzialmente che se si hanno un numero tendenzialmente infinito di variabili aleatorie, la loro somma è una variabile aleatoria gaussiana standard. Ciò poiché nella somma le componenti delle variabili aleatorie possono aggiungersi o elidersi in maniera del tutto casuale, per cui il risultato è assai probabile trovarsi in prossimità dello zero. In termini vettoriali, è come muoversi tante in direzioni casuali di distanze casuali, alla fine è molto improbabile che ci si sia allontanati di molto. Questo excursus probabilistico calza a pennello per dare una chiave di lettura a “Oculus Asini”. Le prime foto della galleria infatti fanno crescere, in una sorta di climax, una sensazione di disordine soffuso. Le irregolarità delle immagini, il loro squilibrio, le particolari prospettive e distorsioni, contribuiscono a rendere una sensazione di un’instabilità mutevole. E casuale. L’aleatorietà è essenzialmente nella quarta foto, dove la sensazione di disordine, che sino a quel momento rimaneva una sensazione, inizia a prendere forma. Un asino viene incontro, dietro invece un asino è rivolto verso sinistra, un altro verso destra, ed altri ancora in tutte le direzione, a caso. Una variabile aleatoria gaussiana può assumere qualsiasi valore reale ma con probabilità del 99% non si discosta più di tre volte il valore della deviazione standard dalla media. Così il singolo asino, prescindendo dai movimenti degli altri, può camminare, spostarsi, allontanarsi ed anche isolarsi, ma il gruppo, alla fine, non si sposta più di tanto. Questo perché i loro movimenti sono incoerenti, confusionari, senza un pastore che li guidi e che faccia sommare in fase tutti i contributi. Questo disordine di massa che non porta a niente di concreto fa tramutare l’aleatorietà incoerente in una frustrazione latente, a causa della consapevolezza dell’inutilità dei propri sforzi. E infatti man mano che questa frustrazione si delinea, le fotografie iniziano ad allinearsi. Non ci sono più mandrie confuse ma lo sguardo si stringe sempre di più verso l’individuo. Quasi ad analizzare la condizione dell’asino all’interno della società. L’occhio sembra essere triste, ma consapevole. In un unico termine, rassegnato. Nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” Leopardi effettua un paragone tra la condizione umana, quella divina degli astri e quella animale, del gregge. Gli astri nulla si chiedono perché tutto sanno, gli animali niente sanno e niente si chiedono. Il dubbio dell’uomo che nulla sa e tutto si chiede porta inevitabilmente all’infelicità. Ebbene, questi asini sembrano quasi aver scelto la via dell’ignoranza, sembrano aver preferito barattare la libertà del dubbio con la schiavitù della certezza. Sembrano pregare di non essere biasimati se hanno preferito scegliere una vita misera e senza scopi ma serena, piuttosto che rischiare di essere infelici. “Non giudicatemi se ho fatto questa scelta!”, sembra urlare quell’occhio che fa capolino dalla stalla. E contemporaneamente la clausura della stalla ci appare sempre più in contrasto con questa preghiera. Come è possibile essere felici rinunciando alla propria libertà, ci chiediamo, soffrendo per la prigionia dell’animale. Meglio rischiare, diremmo tutti su due piedi, tanto la vita è dell’asino, non la nostra. Ma con le nostre vite, rischiamo davvero, noi? Non facciamo forse la stessa, identica, scelta dell’asino? In proporzione anche noi, non di rado, rimettiamo a Dio -o a chi per lui- le nostre libertà, fingiamo di essere felici non facendoci domande. La certezza dà sicurezza, il dubbio invece crea panico ed instabilità. Così, come biasimare l’asino che rimette al suo Dio le sue libertà in cambio di una misera e serena esistenza? E il suo dio, ovvero l’uomo, è dietro le quinte, burattinaio di questa farsesca commedia. Non appare mai e la sua presenza è sempre indiretta. Ma nell’ultima foto, quasi sogghignando, reclama il suo ruolo da protagonista. Egli è colui che firma il patto con gli asini, lui si prende la loro vita e in cambio loro hanno la prigionia, con l’illusione della felicità.

  3. Nell’occhio dell’asino è incastonato uno specchio di disperazione e di rimprovero. Credo dipenda dalla pupilla che non vedi. Nelle enciclopedie di solito si trova scritto che “La forma allungata della pupilla di un cavallo o di un asino, ad esempio, permette di visualizzare grandi spazi”.. Ma la fotografia di Max non si limita ad una semplice questione enciclopedica. La fotografia va oltre le pupille. La fotografia è la pupilla. Mi sono perduto in una lacrima d’asino. Non voglio essere inghiottito ma al contempo muoio dal desiderio di varcare il buco nero. Non mi importa se la sua mente sia debole, se le leggende deridano gli asini, se qualcuno in tutta la Storia lo abbia “esopamente” canzonato. Io, che guardo il suo occhio, io che cerco di non annegare nel suo cristallo, io che mi lascio corrompere dalla fragilità di quell’espressione. Io, sono “il fragile” di fronte a quell’eclissi di sole. Che vive e muore dentro al suo occhio.

  4. Occhi pieni di paura e di rassegnazione per un destino scritto da sempre, che condanna per l’ eternità gli asini. Ma quanti uomini si ritrovano in quegli sguardi! Quanti esseri umani vorrebbero mutare il loro destino e non ci riescono! Eppure ci provano, ci sperano, azzardano movenze diverse. Forse, questo è il loro lato meraviglioso. Ed io, con loro, auspico un cambiamento. Questo vuole essere l’ augurio per l’ anno che verrà che estendo a te, Massimo, e a tutti gli uomini di buona volontà che credono in questo messaggio. Auguri di buon anno!

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