L’arte in JPG

Ho letto con interesse, in questi giorni, questo articolo pubblicato dal New York Times. In sintesi negli Stati Uniti le gallerie si ritrovano a vendere fotografie o altre opere sulla sola “base” di quanto i loro clienti hanno pre-visualizzato in forma digitale. Come se il rapporto con l’opera stessa, fondamentale, a mio avviso, per una corretta fruizione del messaggio, possa essere soppiantato del tutto dal surrogato elettronico. L’articolo riporta di come gli ultimi lavori di Tom Friedman esposti alla Gagosian Gallery siano stati venduti prima dell’apertura della mostra stessa per un valore complessivo di 500.000$.
Certamente il nome di grido aiuta il fenomeno: molti collezionisti comprano sulla base dei suggerimenti di importanti gallerie, come sempre l’essere rappresentati ad alto livello corrisponde a raggiungere un base di clienti fiduciali della galleria. Fa però riflettere, in genere, la linea di demarcazione tra gli artisti maggiori/grandi gallerie/grossi collezionisti con tutto il resto: un po’ ad affermare come, se si ha la fortuna di essere inseriti nel posto giusto ci si possa permettere, con la semplice vetrina virtuale, di vendere i propri lavori in una dinamica diversa dal “normale” rapporto tra il fruitore e l’arte stessa, con un intermediario elettronico che mi ha sempre, con particolare riferimento alla Fotografia, lasciato estremamente perplesso.

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