Immagini dal Paese dove fioriscono i Limoni, Windsor, Canada

Museum Bagheria organised a collective exhibition in Windsor (Canada) bringing photographs from the museum collection. I’m in the group of photographers with one image taken from my “Suspended“.

Immagini dal Paese dove fioriscono i LimoniCurated By Ezio Pagano
Cayetano Arcidiacono, Andrea Attardi, Aldo Belvedere, Davide Bramante, Robert Cameriere, Franco Carlisi, Vittorugo Contino, Massimo Cristaldi, Ezio Ferreri, Marco Glaviano, Walter Leonardi, Giuseppe Leone, Fosco Maraini, Giò Martorana, Angelo Pitrone, Antonio Sammartano, Sandro Scalia, Ferdinando Scianna, Max Serradifalco, Fabio Sgroi, Tano Siracusa and Giuseppe Tornatore.
Il viaggio nella “terra dei limoni” inizia con il sorriso pacato di Bernard Berenson, catturato dall’occhio acuto e indagatore di Fosco Maraini. L’immagine è della Primavera del 1953, anno in cui Berenson visita l’isola andando incontro a testimonianze grandi e piccole del glorioso passato del luogo e che puntigliosamente annota per poi commentarle nel testo, Viaggio in Sicilia appunto, che pubblica alcuni anni dopo. Maraini fotografo costruisce l’immagine con tradizionale eleganza: la figura dello Storico dell’Arte è centrale, illuminata rispetto alle sagome scure delle statue di Villa Palagonia , che si stagliano su un cielo nuvoloso e non lasciano intuire in quale momento del giorno sia stata scattata la fotografia. I tratti del volto si leggono chiari, sebbene la falda del cappello crei un’ombra netta a coprire parte della fronte e degli occhi, strumento primo dello Storico dell’Arte, qui sorridenti e che sfuggono timidamente all’obiettivo.
Il percorso continua e lo scopo non è quello di creare una lista di tutti i fotografi che meritano di essere segnalati in una disamina della fotografia contemporanea in Sicilia, quanto, piuttosto, di esplorare lo spettro di espressioni che i fotografi della collezione di Museum realizzano nella loro personale interpretazione dell’Isola dalla quale provengono o che abitano e vivono. Diverse le scelte compiute dai ventidue autori in mostra: alcuni decidono di realizzare immagini frutto di un evento orchestrato, altri colgono espressioni del viso o scene che richiamano l’indagine documentaria, altri ancora usano il paesaggio per avviare un percorso di riflessioni interiori oppure si spingono oltre e stratificano, creano un gioco di rimandi e riflessi per creare narrazioni complesse. I titoli delle opere ci guidano, fissano alcuni elementi: sono legati a luoghi precisi, didascalici o dichiaratamente evocativi, intimi, talvolta onirici. Nell’immaginario collettivo non esiste un’univoca visione della Sicilia, la ricchezza del luogo e dei suoi abitanti risiede nei contrasti, nelle infinite contraddizioni che in ciascuna delle immagini in mostra non si può fare a meno di non leggere e osservare.
Massimo Cristaldi sceglie il colore: Mineo mette in scena, centrale e ben visibile, la sede del Partito Comunista italiano e vicino un uomo anziano, seduto e con un bastone in mano. Intorno, sui tetti delle case si scorgono vasche dell’acqua, verande, antenne e altri elementi che ci riportano alla contemporaneità. Una Sicilia che oscilla tra il passato e il presente, che non sa scegliere, che non riesce a “voltare pagina” e proseguire verso il futuro senza dubbi.
Con nostalgia e insieme compiacimento per un momento gioioso Giuseppe Tornatore guarda attraverso l’obiettivo della sua macchina. Il titolo dell’opera ci disorienta: Portella della Ginestra. Primo maggio, la delegazione sovietica evoca nei siciliani e negli italiani un drammatico evento che segna le coscienze e dal quale si dipana un intricato e doloroso caso di rapporti tra Mafia e politica che risale al dopoguerra. Un evento che s’identifica in una strage: uomini e donne che lottavano per i loro diritti, negati col fuoco e col sangue dal bandito Salvatore Giuliano. L’immagine del regista siciliano mostra altro: un momento di gioia, la semplicità di un ballo improvvisato, i sorrisi di chi partecipa e chi si limita a osservare, abiti e volti del passato. Portella della Ginestra, allora, diventa il nome di un luogo per scrivere un appunto utile a fissare un ricordo. Al passato guarda anche Vittorugo Contino nella sua Purgatorio. L’obiettivo ritrae una sezione della Democrazia Cristiana di questa frazione del comune di San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani. Un uomo si affaccia da una malandata porta in legno, osserva chi lo ritrae. L’autore ha una lunga e importante esperienza sia nel campo della fotografia, che del cinema, ha lavorato come capo operatore, direttore della fotografia; nell’ultima fase della sua carriera ha realizzato copertine per importanti settimanali giornalistici italiani. La pulizia delle forme e il suo rigore nel riprendere gli ambienti e i luoghi sono controbilanciati dall’ironia dei suoi titoli deliberatamente ambigui.
Marco Glaviano e Giò Martorana non appartengono a un ambito di ricerca fotografica “pura”, lavorano o hanno lavorato nel campo della moda e della pubblicità, in ambiti e nazioni diverse e nei loro lavori presentano immagini e situazioni che stanno al confine continuo tra documento e moda, scegliendo di appartenere più ad un ambito o un altro. Le Muciare ritratte da Giò Martorana erano le barche usate nella mattanza, durante la pesca del tonno. L’inquadratura è stretta ed essenziale, la composizione esclude con estremo rigore tutti gli elementi superflui, l’obiettivo ha una prospettiva dal basso così da enfatizzare la porzione di cielo che lascia intuire un punto di fuga esterno all’immagine. L’autore impone, per la sua intensità, il coinvolgimento dei sensi. Le sue fotografie, che siano di moda, di tipo documentario o paesaggi, sono estremamente tattili e sono intrise di elementi appartenenti al passato: pizzi o ricami che si riflettono sui corpi, tende di bisso a creare sipari evanescenti. In Muciare, chi osserva sfiora il legno ruvido delle imbarcazioni e quasi tocca le nuvole. Mentre Martorana inizia con la fotografia di ricerca, documentaria e approda in seconda battuta alla moda, Marco Glaviano intraprende il percorso opposto: l’autore palermitano ha lavorato per anni con riviste e case di moda internazionali, è stato un pioniere dell’immagine digitale sulle riviste patinate, basti ricordare la celebre foto che pubblica nel 1982 per American Vogue, solo da alcuni anni ha dedicato il suo tempo a personali ricerche in ambito fotografico. Ashley dancing with the tree è moda, è Sicilia, è paesaggio. La donna dell’immagine Mazzara del Vallo di Ferdinando Scianna riveste un ruolo del tutto differente. Gli scatti del noto fotografo siciliano tradiscono sempre un profondo acume e l’abilità di cogliere un attimo, un’occhiata fugace, una situazione; l’attitudine a rendere lo scatto fotografico strumento di lettura di una condizione o di un contesto. Il suo sguardo è insieme irriverente, provocatore ma anche sornione e indulgente verso i soggetti. Ferdinando Scianna ruba loro l’anima per uno scatto, li “mette a nudo” e insieme non li giudica, lascia a noi trarre le conclusioni. Ecco che i suoi ritratti divengono gallerie di ricordi gioiosi, degli attimi nei quali svela l’animo più intimo di tutti coloro che incontra e ritrae, amici di una vita o intere folle di volti. L’autore in alcune sue recenti interviste si definisce come un “ladro di realtà” e forse immortala proprio questo nell’immagine della collezione dal titolo Mazzara del Vallo. Il fotografo ritrae in primo piano due uomini, i busti sono ruotati in modo diverso tra loro così da creare profondità. Al centro, una locandina di un film erotico e ritratta una famosa attrice dell’epoca. Gli uomini si rivolgono all’obiettivo con sguardo diffidente e infastidito. Hanno i lineamenti marcati, assumono una postura che sfida chi sta scattando loro l’immagine. Le allusioni sono infinite: il ruolo della donna, i loro desideri, la delinquenza, il possibile imbarazzo per essere stati ripresi proprio in quel punto …
Le scelte stilistiche dell’autore nel corso della sua carriera sono costanti e fortemente coerenti: l’uso del bianco e nero per rimanere saldamente ancorato alla tradizione, il taglio da reportage – quello apprezzato dal suo mentore, Cartier Bresson che lo aiutò e spalleggiò per entrare all’agenzia Magnum – il modo violento di utilizzare la luce a rispecchiare il sole abbagliante del Sud, la fulminea scelta dell’attimo in cui scattare l’immagine.
Fortemente identificato nell’immaginario dei non siciliani, di chi visita la regione in viaggio e scopre l’opposto degli stereotipi delinquenziali di Ferdinando Scianna, è il risultato di Aldo Belvedere, Walter Leonardi, Giuseppe Leone. I tre autori decidono di ritrarre il paesaggio naturale e presentare un aspetto della Sicilia “da cartolina”: riposante, conosciuto e amato. Ognuno di loro sceglie una parte nell’infinita varietà che la Regione offre e la sviluppa selezionandola e presentandola con un valore affettivo. Max Serradifalco attua un’operazione del tutto differente: per ideare la sua “Web Landscape Photography” si avvale del web per reperire e appropriarsi delle mappe satellitari che poi reinventa presentandole come immagine circoscritta e avulsa dal contesto. Un esempio di questo suo approccio sperimentale è proprio Sicilia in Polinesia. Nell’immagine l’osservatore si trova davanti ad un territorio di un’isola verdeggiante, incontaminata e circondata da un mare cristallino. Serradifalco mostra un paesaggio in cui l’uomo sparisce e la sua assenza genera bellezza. L’autore ci mostra, per guardarla con occhi nuovi un’immagine che già esiste, ma che decontestualizzata ricorda altro.
Nell’approccio di Sandro Scalia e Robert Cameriere il paesaggio è sempre protagonista. Robert Cameriere per suoi paesaggi sceglie un formato che enfatizza l’orizzontalità. La linea dell’orizzonte è bassa, la prospettiva aberrata. Il cielo prevarica sul mare permettendo allo sguardo di spaziare e immaginare. L’edificio a lato della scena, l’unico in tutta la composizione, è illuminato dalla luce del sole a creare un forte contrasto con le pesanti nuvole che campeggiano a lato. Sandro Scalia ha una formazione accademica, ciascuno dei suoi lavori è l’esito visivo di un progetto di ricerca rigoroso e meditato nel tempo basato su criteri formali e concettuali. L’artista ha attraversato la Sicilia e ha svolto negli anni una sistematica ricognizione di scorci dell’isola dando avvio, attraverso i suoi scatti, a un percorso ricco di riflessioni. Villa Malfitano Palermo, il titolo serve a chi osserva a collocare il paesaggio dimenticato che Scalia gli presenta . La composizione è asciutta, la luce bilanciata, lo sguardo è accompagnato sino al punto di fuga dai diversi elementi: le colonne, la struttura in ferro che regge le vetrate della serra, il muro chiaro e compatto che funge da quinta scenica. L’immagine è silente, induce alla riflessione. Scalia si appropria di uno scorcio e ci restituisce un paesaggio interiore.
Angelo Pitrone predilige il paesaggio come soggetto principale della sua ricerca e ne Il porto di Palermo riproduce un paesaggio industriale, un luogo di passaggio, un ambiente estremamente antropizzato e al contempo privo di figure umane. Interessante ricercare nella sua quadricromia la questione delle relazioni tra gli elementi interni della composizione: è possibile collegare tra loro componenti che normalmente non percepiremmo come collegati, ma che nell’immagine sono unificati dalla tonalità del colore o del modo in cui sono organizzate nello spazio della composizione. L’obiettivo, l’occhio, lo sguardo degli autori si restringe sino a scegliere di “guardare” e far vedere solo un particolare. E’ quello che accade nel lavoro In Sicilia. Cronache del paesaggio ultimo di Ezio Ferreri. L’opera appartiene ad un ciclo di immagini che l’autore ha realizzato per restituire ai fruitori delle sue opere una ”cronaca geologica a più livelli” . Il campo stretto, il bianco e nero, la limpidezza dell’immagine, sono tutti elementi che offrono a chi guarda l’opportunità di scoprire, attraverso l’immagine fotografica, la dimensione tattile.
Coquimbito è un’area rurale nella zona Sud Est della cittadina argentina di Mendoza, luogo in cui vive il siculo-argentino Caytano Arcidiacono. Il vivero di Coquimbito è un vivaio, un terreno in cui si seminano e si coltivano varietà differenti di piante fino al momento del trapianto in un luogo stabile. Il contrasto immagine/titolo restituisce nell’immediato il lavoro di Arcidiacono: prendere in prestito immagini dal mondo naturale per ripresentarle in una dimensione alterata. L’artista argentino in numerose interviste susseguitesi nei decenni della sua carriera, dichiara più volte come sia interessato a scattare un’immagine estetica, identificandola e circoscrivendola in un ambito o in un luogo. Nel suo lavoro, il variegato uso della luce permette di leggere i diversi piani che l’immagine sintetizza in unica ripresa prospettica. La prospettiva è usata anche dal trapanese Antonio Sammartano, stavolta per annullarla e riportare la tridimensionalità dello spazio di rappresentazione all’unica dimensione del piano della riproduzione fotografica. Altro elemento del lavoro è il processo di sottrazione accostato al titolo, Fragile, utile a introdurre una riflessione intima ed emotiva per indurre ciascuno di noi ad indagare nel proprio vissuto.
Si contrappongono all’etereo risultato di Sammartano i lavori di Franco Carlisi e Fabio Sgroi. I due autori con percorsi ed esiti differenti scelgono un univoco punto di partenza: il bianco e nero, lo scatto dell’azione colta e non costruita, un’osservazione con uno sguardo contemporaneo che coglie elementi residuali di una società che muta e si trasforma. I tre uomini che ritrae Sgroi hanno volti e abiti senza tempo, a tradire l’epoca solo un paio di occhiali da sole in penombra. La narrazione avviene attraverso un canone compositivo tradizionale: luce diagonale, grana evidente, sguardi dei tre soggetti che non s’incrociano tra loro. La fisicità dell’opera di Franco Carlisi è dirompente. L’immagine rientra nell’ambito di un progetto che il fotografo ha realizzato e che prende il titolo di Il valzer di un giorno, nel quale la caducità dell’evento e il non visto sono dichiarati dall’inizio e divengono il metodo che segue l’autore agrigentino per cogliere i numerosi fuori campo di un evento che vorrebbe mettere in mostra solo il patinato. Lo spirito esplorativo di Carlisi scompone la macchina dell’evento matrimonio e la restituisce in tanti frammenti che legati insieme ci conducono in un’altra direzione, in un altro racconto.
Tano Siracusa: una narrazione nella narrazione. Il medium fotografico è adoperato per passare oltre il tangibile e muoversi su più piani, attraverso i riflessi e le trasparenze. Scegliere il bianco e nero per rendere essenziale lo scatto e non confondere l’occhio dall’inganno messo in scena. Agrigento, il titolo della fotografia connota solo un luogo geografico. Il titolo non racconta del rapporto che intercorre tra l’uomo e la donna ritratti oltre la finestra e con il mare alle loro spalle, non svela quale tipo di edificio è quello riflesso sulla superficie della finestra oltre la quale guardare inizialmente. Andrea Attardi, invece sceglie la trasparenza di una tenda per raccontare Palermo, il suo passato, il suo presente. Le sagome delle piccole figure ricamate sulla tenda hanno come quinta il palazzo antico che si scorge oltre la finestra. La teoria di personaggi rimanda ai monzù, ai balli e ai fasti dell’agiata aristocrazia isolana della corte borbonica.
In Inglese “to rave” significa vaneggiare, delirare. Davide Bramante presenta My own rave Palermo (Oro). L’opera fa parte di un progetto molto ampio che l’artista siracusano inizia nel 2011. Nel suo lavoro il processo di scatto attraverso esposizioni multiple diviene la grammatica del suo linguaggio. La forte scelta della sovrapposizione d’immagini in trasparenza sembra, se si osserva il lavoro di Bramante negli anni, una sua condizione naturale. La sensazione è che Bramante restituisca, attraverso le sue opere, il processo associativo che compie il suo sistema neuronale nel momento in cui osserva e rielabora il ricordo. L’artista scatta le singole immagini per incamerarle nel suo vissuto, un appunto visivo, un’attualizzazione postmoderna del taccuino di viaggio del Gran Tour Settecentesco, ad esse probabilmente associa suoni, odori e sensazioni immediate e non controllate. Nella fase di scelta e postproduzione dell’opera d’arte Bramante assembla i suoi ricordi stratificandoli per comunicare nella maniera più completa quanto precedentemente provato.
Al termine del percorso, dopo esserci interrogati di fronte a ciascuna delle immagini in mostra e sul percorso artistico di ogni autore, risiede un’intima sensazione: ciascuno di loro – che sia rimasto sull’isola o si sia allontanato – attraverso le opere che realizza, si dichiara sempre siciliano. Tutte le opere, con una sfumatura differente, manifestano l’impegno di trovare le ragioni prime dell’esistenza e dell’atavica convivenza delle contraddizioni presenti in quest’Isola. Gesualdo Bufalino nel suo romanzo La luce e il luttos crive:<< Dicono gli atlanti che la Sicilia è un’isola e sarà vero, gli atlanti sono libri d’onore. Si avrebbe però voglia di dubitarne, quando si pensa che il concetto d’isola corrisponde solitamente un grumo compatto di razza e costumi, mentre qui è tutto mischiato, cangiante, contraddittorio, come nel più composito dei continenti. Vero è che le Sicilie sono tante, non finirò di contarle>> . La raccolta fotografica dell’Osservatorio dell’arte contemporanea in Sicilia sembra proprio censire le isole che coesistono dentro l’isola più grande e comunica come la specificità della “questione siciliana” vada individuata nella sua multiforme produzione artistica.

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