Francesco Zizola: il Workshop

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Francesco Zizola - Photo by Massimo Cristaldi

Francesco Zizola – Foto di Massimo Cristaldi

Ho avuto il piacere di partecipare, alcune settimane fa, al workshop di tre giorni di Francesco Zizola organizzato da MiCamera. Avevo visto alcune interviste a Zizola su Youtube, oltre, naturalmente, ai suoi splendidi lavori realizzati in giro per il mondo. Avevo anche letto di lui nel bellissimo libro di Giovanni Porzio, Cronache dalle terre di nessuno.

Di Zizola mi aveva colpito l’approccio all’immagine, per nulla truculento come purtroppo accade spesso a certi fotogiornalisti impegnati in zone calde del pianeta. Avevo avuto l’impressione che Francesco fosse un fotografo partecipe all’azione: a tutti gli effetti un Uomo, non un avvoltoio alla ricerca dell’immagine d’effetto a tutti i costi.

Ho quindi deciso di andare a Milano a “conoscerlo” di persona, sicuro che, oltre all’arricchimento tecnico avrei probabilmente intuito di più su come si comporta un fotografo in una zona difficile, cosa prova, cosa pensa, a quali emozioni è soggetto, quale rapporto ha con casa sua e con quanti, a casa, lo aspettano.

Ero un po’ riluttante all’idea di un workshop di fotografia ma l’attrattiva nei confronti delle foto di Zizola era troppo grande e meritava un aereo per Milano.

Le mie aspettative non sono andate deluse. Già dal primo giorno Francesco, che è una persona molto carismatica, ci ha accolti su un tema che (per certi versi) Fabiano Busdraghi ha trattato a lungo nel suo blog: la fotografia è una rappresentazione della realtà? Non mi dilungo sul tema specifico che ha visto una lunga discussione: certo che intorno a “come” rappresentare la realtà, dal punto di vista del fotogiornalista, si è orientata buona parte delle chiacchierate dei giorni a venire.

Chiacchierate, infatti. A parte qualche approfondimento “tecnico” sull’utilizzo dell’Iperfocale (che Francesco adopera moltissimo) tutto il workshop è stato un piacevole colloquio, parecchio interlocutorio, senza alcuna pretesa nozionistica né imposizioni da depositario della “verità”.

Dalla lettura delle sue fotografie nei primi giorni con la possibilità di “bersagliarlo” di domande (come hai fatto, dov’eri) alla lettura delle nostre fotografie (eravamo un simpatico gruppo di una quindicina di persone) i temi erano incentrati all’etica nella fotografia, all’invisibilità del fotografo (e quindi alla grande capacità di catturare il momento facendo parte della scena), al rapporto con i soggetti.

“Armato” con un’ottica fissa (un 24 mm 2.8), una Canon 5D o 1Ds, Francesco è dentro la scena. Chi guarda le sue foto è accanto a lui. Ed è un fautore del digitale, per le possibilità di correzioni in post processing e per l’immediatezza che offre a chi fa il suo mestiere sul campo.

E’ stato molto interessante ascoltare la sua storia, il suo inizio come fotografo, la sua passione travolgente per il suo mestiere, il suo volerlo fare a tutti i costi e il suo NON piegarsi alle logiche della fotografia commerciale.

Io sono un grande fautore della Passione con la P maiuscola. Credo che sia il motore di tutto quello che facciamo BENE.

Ascoltare i suoi aneddoti sui successi, sul suo rapporto con i photo editor, i suoi giudizi sul mondo della carta stampata italiana e dell’analfabetismo dell’immagine che contraddistingue il nostro paese è stato ulteriormente interessante. Ed del suo rapporto difficile con alcune importanti agenzie di fotogiornalismo, che l’hanno portato a fondare NOOR. Francesco Zizola è un indipendente, uno che non ha paura di fotografare (e di comunicare) attraverso l’immagine. Non è uno che si piega alle logiche dei servizi “dalla parte dei buoni”, è una persona che ha rischiato e rischia parecchio andando in giro spesso non “embedded”, ma in autonomia. E forse per questo le sue foto danno l’esatta percezione di quanto accade in parti del mondo a noi lontane.

Nel suo rapporto intenso con i suoi soggetti viene fuori una travolgente umanità. Quella che gli fa sostenere di essere più scioccato quando torna nel nostro paese che quando si trova in zone del mondo contraddistinte dalla povertà, dalla miseria e dalla guerra.

Mi ha poi colpito il suo approccio ai progetti di lunga durata. Born Somewhere lo ha visto collezionare fotografie sulla condizione dell’infanzia in tutto il mondo (incluso i paesi industrializzati) per tredici anni. E mantenere, nel tempo, una grande uniformità di visione e di stile, nonché tecnica, di indipendenza completa dal “mezzo” utilizzato. Naturalmente non ho resistito a comprare il libro (e a farmelo dedicare).

Ho imparato sicuramente qualcosa da questo workshop. Ho iniziato a pormi delle domande sul rapporto con i soggetti, ad esercitare quella che Francesco chiama la “vista periferica”, ad iniziare a “mimetizzarmi”. Non sono un fotogiornalista di professione ma ho un grande interesse per il reportage sociale. Non potevo quindi non mostrare a Francesco Zizola il mio “A Men’s world“: ho avuto, come gli altri partecipanti al workshop, l’onore di avere un’attenta review dei miei scatti.

Dopo qualche giorno dalla fine del workshop Francesco ha tenuto una lezione di giornalismo per Internazionale. I link alle lezioni sono disponibili qui e qui. Alcuni dei temi del workshop sono stati affrontati durante le lezioni online e quindi consiglio a chi sta leggendo questo breve post di ascoltarle.

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Comments 6

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    Questo breve resoconto arriva a circa un mese dal workshop e quindi ho, sicuramente, tralasciato qualcosa, glissando su alcuni aspetti. Chi volesse intervenire con domande o richieste specifiche può farlo, naturalmente, qui di seguito.

  2. Ottimo racconto di un workshop. Ad essere sincero devo dire che te lo invidio molto. Alla fine lavoro sopratutto con la fotografia artistica, per gallerie e esposizioni, e recentemente un pelo di moda. I veri fotografi che ammiro incondizionatamente, le fotografie che mi emozionano e mi toccano, quello che vorrei poter fare però è sempre stato il fotogiornalista, il reporter di guerra, le foto di posti lontani, delle persone che popolano il mondo. Devo trovare il modo piano piano di indirizzarmi di più su quella strada.

    Grazie anche, naturalmente, per aver linkato Fotografia e Verità. Giusto a scnso di equivoci devo dire che è un lavoro ancora in corso. Per esempio non ho ancora parlato della fotografia giornalistica, l’intervento è in scaletta fra 3 o 4 episodi, quindi bisogna pazientare ancora un mesetto circa.

    buon esercizio di mimetica e visione periferica a tutti.

  3. dimenticavo…
    perché lo fa? quali sono le sue motivazioni? perché vuole documentare a tutti i costi? perché è quello il suo modo di vivere e ormai non ne può più fare a meno?

    e poi: cosa lo schocca terribilmente al suo ritorno? è una cosa che posso capire, che probabilmente condivido, visto che io sono shoccato ogni giorno, mi immagini chi come lui può vederci da fuori…

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    Fabiano,

    da quello che ho capito ha due motivazioni (ma anche una famiglia e dei figli):

    – una passione compartecipata per quelle genti e per quei luoghi. Sa di rischiare, e tanto, ma il valore ETICO del suo lavoro lo spinge a continuare a farlo. Per questo è un “indipendente”: non si piega e vuole VERAMENTE raccontare quello che vede, senza filtri edulcorati di censure e propaganda.

    – E’ il suo lavoro. Lo fa e ne parla con una enorme passione. Per certi versi mi è sembrato un idealista, ma devo dire che fa sempre piacere trovare idealisti nel 2008.

    Tornare lo sciocca perchè i valori (come la parola, il rispetto) tipici di quei luoghi da noi non esistono più.

  5. certo che partire per zone di guerra con i figli a casa che ti aspettano lo trovo un po’ egoista. s sei solo decidi per te stesso, se hai una famiglia decidi anche per chi ti sta attorno. zizola fotografa con grande passione, ma allora la sua passione per la fotografia è maggiore di quella per la sua famiglia? io non ci riuscirei mai. l’uno o l’altro. le due cose non sono compatibili, sono scelte di vita. io faccio il fotoreporte e proprio per una sclta di questo genere lavoro in città con quotidiani. invidio molto chi affronta questo mestiere in modo più internazionale, ma ho dovuto scegliere: famiglia e amici o viaggi e fotografia (e instabilità economica..)

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    Giulio,

    sono convinto che riuscire nell’intento di fotografare in modo staordinario l’ordinario (della vita alla quale siamo abituati) non sia affatto da considerare secondario… Penso a Martin Parr, ad esempio. Probabilmente cogliere le distorsioni della nostra società può essere ugualmente intrigante e forte…. Di sicuro chi si spinge ai limiti del rischio ha dentro delle motivazioni che risulta difficile esternare e comprendere appieno….

    Massimo

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