Fotografia: dal digitale al social

Om Malik, dalle colonne del New Yorker, fa un’osservazione interessante sulla recente mossa di Google di rendere NIK Collection gratuito. Egli sostiene che diventa gratis perché non è più redditizio mantenerlo vista la sparuta minoranza di appassionati e/o professionisti che continuerà ad utilizzare queste soluzioni. Presto gli ultimi, ostinati, utenti diminuiranno ancora visto che tutti faranno quanto serve su una fotografia, dalla cattura al post processing, su uno smartphone.

Un po’ di storia per iniziare. Nel 2012 Google annunciava di aver acquisito NIK software. NIK era un’azienda che produceva una suite di filtri, molto più sofisticati di Instagram, in grado di correggere foto a colori, o di renderle in B&W nel migliore dei modi. NIK vendeva la suite a circa 500 dollari: nell’acquisizione Google abbassava il prezzo a 150 dollari.

Tra tanti altri anche io avevo approfittato del ribasso per comprare l’intera collection, interessato soprattutto a mantenere Silver Efex (che era l’unico prodotto che avevo comprato originariamente da NIK Software per l’ottimo lavoro sulle immagini in bianco e nero).

Ora tutti possono avere la NIK Collection: non costa più nulla. E quindi non “vale” più nulla, un po’ come dire che si tratta di un prodotto arrivato a “fine vita”, e quindi, piuttosto che mantenerlo, Google decide di regalarlo.

Perché?

Malik sostiene che gli sforzi di Google sono adesso tutti su Google Photos, che avrà l’incarico di lasciare ai computer e al “cloud” il compito di memorizzare ma anche di scegliere, catalogare e, addirittura, migliorare miliardi di immagini che vengono ogni giorno condivisi dai nostri smartphones. Farà anche i GIF automatici con le foto migliori delle nostre vacanze, liberandoci perfino dalla noia di scegliere noi.

Nel muoversi progressivamente verso la fotografia sociale nella quale facciamo più foto di quante riusciremo mai a vederne, la mossa di Google significa che certi programmi che necessitano di un computer tradizionale saranno, a breve, qualcosa di nicchia, in qualche modo simile a quanto oggi è la fotografia analogica: in altre parole che saranno pochissimi quelli che passeranno il loro tempo a trastullarsi su un PC/MAC per elaborare le loro immagini: tutti faranno il 90% di quanto necessario su piattaforme mobili, senza lo stesso livello di sofisticazione, certo, ma “sufficientemente”.

Un modo semplice per dire, ancora una volta, che il cambiamento di metafora nella creazione e nella fruizione della fotografia, obbliga il più grande protagonista del mercato a ricalibrare e rimettere a fuoco le sue priorità.

Quanti di noi, abituati a lunghe sessioni di editing, di post-processing e ad un rapporto intenso con le proprie immagini rabbrividiscono a questa prospettiva? Forse in numero maggiore di quanti di noi “argentinci” convinti, rabbrividivano all’idea della fotografia digitale: in ogni caso il numero è troppo ridotto per Google.

Però la questione è effettivamente sul tappeto, e sarebbe troppo snob liquidarla con la semplice affermazione che la cosa non mi/ci riguarda, visto che ancora investiamo considerevoli somme di denaro in attrezzature da ripresa, strumenti di elaborazione e periferiche di stampa.

La fotografia è mutata di nuovo. La profezia del 1977 di Susan Sontag che “Oggi tutto esiste per finire in una fotografia” si è avverata. Se pensiamo alla possibilità offerta dal 4K , di tirar fuori dai video fotografie da 12Mpixel, siamo forse ancora oltre. Se con una Field camera come la Lytro posso decidere dopo cosa sarà a fuoco e cosa no, siamo ancora, ancora oltre.

Questo, certo, non piace molto ai grandi produttori di macchine fotografiche. Smartphone capaci di fare buone foto, o comunque foto OK per il 90% degli utenti. APP capaci di buone elaborazioni, o comunque sufficienti per i più. Tutto nel cloud. Tutto condiviso.

Nel 2013, Takafumi Hongo, un spokesman di Canon dichiarava al Wall Street Journal:

“Fotografare con gli smartphones e modificare le immagini con un’APP è come cucinare con ingredienti economici e molte spezie artificiali. Utilizzare una macchina fotografica vera è come uno slow food cucinato con ingredienti genuini e naturali.”

Discorso noto e forse condiviso da chi si occupa di fotografia con trasporto ed entusiasmo o per lavoro. Infatti l’industria, Sony in testa, non ha mai finito di spingere nella direzione di nuove macchine fotografiche dalle grandi capacità e dalle piccole dimensioni.

Di certo, come riporta Roberto A. Ferdman sul Washington Post, l’introduzione dell’iPhone ha fatto molto “male” alle fotocamere, soprattutto a quella delle macchine con obbiettivi intercambiabili:

Come si vede dal grafico dal 2013 le vendite hanno iniziato a calare vistosamente, pressoché in contemporanea dell’avvento degli iPhone con fotocamere di maggiore qualità.

Così, brillantemente, Leica fa in questi giorni la scelta di puntare su Huawei per equipaggiare con le sue lenti gli smartphones del produttore cinese.

Ma Leica, che è sicuramente un grande nome, non ha una fetta di mercato paragonabile a Nikon, Canon o Sony. Però guarda lontano, in un futuro nel quale il numero delle fotografie fatte eccederà di gran lunga quante mai potremmo addirittura aver sognato. E forse Leica sa che arriveremo, probabilmente, ad una polarizzazione degli estremi: da un lato un gruppo sparuto di incalliti fotografanti con attrezzature e software sofisticati, dall’altro tutti gli altri. Se la maggioranza avrà ancora bisogno della minoranza sarà tutto da vedere.

Analogici, professionisti, incalliti della post produzione: rassegnatevi. Il futuro è pieno di miliardi di immagini e le vostre, per quanto stupende e messe a punto con grande maestria, difficilmente verranno viste se non da qualche macchina senza anima.

Perché perderci ancora del tempo?

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