La Forza Delle Rovine: un estratto dal libro

La mostra la Forza delle Rovine che si è conclusa all’inizio di quest’anno, era accompagnata da un bel volume, curato da Marcello Barbanera e Alessandra Capodiferro. Nello stesso, nell’ambito del capitolo dedicato a “La Rovina, nuovo paradigma del XX del XXI Secolo, per una riflessione sull’umanità”, Audrey Norcia parla estesamente del mio lavoro, tratto da “Suspended“.

Ne riporto qui un estratto, che mi è utile per riallacciare il discorso che porto avanti in “Suspended” in relazione al rapporto tra l’incapacità della Sicilia, e di un pezzo significativo di meridione d’Italia, di portare a compimento qualunque tipologia di progetto architettonico, restando sostanzialmente “sospesa” tra passato e futuro, e creando, quasi paradossalmente, nuove rovine da progetti ancora in divenire.


IL DIALOGO DELLE ROVINE ATTRAVERSO IL TEMPO STORICO E GEOLOGICO di Audrey Norcia

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La Notte di Gibellina, Renato Guttuso

Sempre attento a coniugare esigenze poetiche e impegno civile, Guttuso dipinge La notte di Gibellina per ricordare la notte tra il 14 e il15 gennaio del 1970, nel secondo anniversario del terribile terremoto che nel 1968 sconvolse il Belìce. Il quadro è dipinto secondo l’estetica realista e punta a una comunicazione immediata, alla denuncia senza orpelli: le fiaccole accese nella notte, il rosso dei fuochi e delle bandiere, le vesti nere delle persone come abbigliate a lutto. Coscienti della vulnerabilità della vita, Anne e Patrick Poirier si adoperano per preservarne l’anima e la memoria. Da più di quarant’anni, la rovina permette a questi artisti di rendere concrete la fragilità e l’instabilità delle civiltà, della natura e degli esseri umani: è un mezzo per rendere visibile e interiorizzare la storia, un mezzo di conoscenza del mondo e di se stessi. A prima vista, l’opera dei Poirier potrebbe sembrare simile alla “poetica delle rovine” che, durante il XVIII secolo, aveva favorito un sentimento melanconico. Invece, le rovine immaginarie che i due artisti offrono alla vista e al ragionamento rivelano sempre un senso di tragica scomparsa: non ci predispongono più a sognare con abbandono attraverso il lento corso del tempo, ma ci spingono piuttosto a percepire la violenza della storia, la sua esplosione. Questo vale sia per le rovine cupe e antiche della Domus Aurea (1975-1978) che per i modellini di rovine futuriste come in Exotica (2000). Nella mitologia dei Poirier, Ausée – come la Domus Aurea ovviamente – è un’antica cittadella incendiata: le sue rovine, di un nero profondo come il silenzio delle tenebre, ricordano quelle del terremoto di Gibellina (1970), che commemora il secondo anniversario della tragedia; non sono i resti degli edifici a essere immersi nell’oscurità, ma gli uomini e le donne riuniti in primo e secondo piano: i loro volti sono appena delineati o non visibili, formano comunque un cerchio la cui unità contrasta con la dispersione delle rovine. Che siano il risultato della follia umana o di una catastrofe naturale, le rovine precipitano con violenza l’essere umano nello sgomento. Il quadro di Guttuso sembra esortare a maggiore solidarietà e compassione tra gli uomini: ci avverte probabilmente che il nostro divenire è rovina, che noi stessi siamo rovine. Nei Poirier, il passato è portatore di speranza e di tragico quanto può ésserlo il futuro, e diffideremo in egual misura dei valori comunemente attribuiti al nero e al bianco quando ricoprono completamente le città del passato e del futuro immaginate dai due artisti. A Mnemosyne (1996) e ad Amnesia (2009) sembra corrispondere il teatro di Gibellina progettato nel 1970 da Pietro Consagra e fotografato nel 2011 da Massimo Cristaldi. Le forme rotonde ed equilibrate di questo edificio ricordano in effetti i modellini bianchi dei Poirier, “serbatoio di memorie umane”, come vengono chiamati. Purtroppo però questo teatro è abbandonato, come le città inventate dai Poirier. La foto di Cristaldi ribalta l’edificio moderno in rovina: circondato dall’erba alta, il teatro è ormai dominio della natura. Ebbene, questo luogo fa parte dell’ambizioso programma che mirava a convertire le rovine della vecchia Gibellina in un luogo d’arte contemporanea a carattere internazionale, cercando di trasformare un’area di rovine in un luogo di riflessione. Come considerare dunque la funzione catart ica di questo “teatro della memoria”? Il Cretto di Burri da solo ricopre efficacemente numerose funzioni:innanzitutto quella di ‘monumento’ che ammonisce (monere) che in questo luogo è avvenuto qualcosa; quella di conservare, preservare i resti della città (d’altronde gli archeologi non procedono diversamente quando lasciano un sito di scavo per ritornarci successivamente); quella infine di riattivare la memoria del luogo, diventando, ogni estate, il palco delle Orestiadi. Ma il Cretto riveste un’altra funzione più sovversiva e naturale, quella di coprire le tracce della tragedia e il ricordo delle vittime di Gibellina. Naturale nel senso che presto o tardi, queste ultime cadranno nell ‘ob lio (se non è già accaduto). È umano. E la natura in qualche modo a poco a poco si riafferma tra le crepe, sul cemento. Che sia vecchia o rivolta al contemporaneo, la città di Gibellina un giorno o l’altro sarà una città morta. Un cimitero della memoria umana e geologica. Ed è effettivamente un’idea di ‘sospensione’ quella che ha captato Cristaldi, come indica il titolo della sua serie fotografica, Suspended: una via di mezzo, un presente prossimo già passato. Nella fotografia, il cielo, attraversato da inquietanti nuvole grigie che incombono al di sopra del teatro di Consagra (fig. 3), deve essere interpretato come un cattivo auspicio: il flagello dell’Italia del Sud è proprio qua, un cattivo genius loci In effetti, attraverso questa fotografia, l’artista punta il dito contro un effettivo problema sociale del meridione, per far conoscere l’incapacità di portare a buon fine progetti architettonici o semplicemente edilizi. Ironia della sorte, considerando che la stessa Sicilia abbonda dei massimi siti archeologici della penisola, come se, in modo ineluttabile, il passato contaminasse il presente e come se il presente non fosse capace di salvaguardare il passato. L’espressione barthiana fa scuola, la fotografia designa il “ça a été”: il teatro di Consagra come il Cretto di Burri saranno in un futuro prossimo altre Pompei. Un paesaggio di rovine che apparterrà (o non apparterrà) al nostro immaginario.

Teatro di Consagra, Gibellina, 2011

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